Racconto Cuore Sensibile Verso la luce (Capitolo 13)
Poco importava dei miei fratelli, della gente. Quel tempo la dentro non era vita.
Come se davvero la stessi guardando per la prima volta, incominciai ad osservare tutti gli angoli della caverna. In effetti, dopo il primo largo spazio dove mi trovavo, la caverna proseguiva. Non avevo idea se ci sarebbe stata o no, una seconda via d'uscita, ma senz'altro dovevo tentare.
Un'altro tentativo diverso sarebbe potuto essere un atto di ribellione. Ma essendo fisicamente e soprattutto emotivamente esausto, quante probabilità reali potevo avere di immobilizzare il carceriere?
L' aiuto dell'ostaggio era completamente da escludersi, anche perché non mi era mai stato permesso di avvicinarmi troppo per parlargli.
Era chiaro che tutto si sarebbe ridotto alla fuga. Da quel momento in poi il mio unico pensiero fisso fu: quale sarà il momento migliore?
Apparentemente sdraiato a dormicchiare come prima, studiavo invece tutti gli spostamenti, le abitudini e i movimenti del sequestratore.
Quando pensai di avere acquisito elementi più che sufficienti, decisi che il momento più propizio sarebbe stato il dopo pranzo, quando la digestione portava la sonnolenza e il riposo quotidiano.
Cosa avrei trovato nella grotta? Sarei riuscito a venirne fuori o sarei morto la dentro?
"Meglio tentare di vivere, che vivere senza poter vivere" mi ripetevo.
Arrivò il giorno tanto atteso. Mentre mangiavo in silenzio quello che speravo fosse l'ultimo pranzo la dentro, tenevo gli occhi ancora più bassi del solito. Avevo paura di incontrare anche solo per un attimo gli occhi della povera vittima, e di tradirmi. Non potevo salvarlo, non potevo avere nessun tipo di ripensamento. Era estremamente rischioso anche per me, non potevo accollarmi il pensiero della sua libertà.
"Forse dall'esterno avrò più opportunità di fare qualcosa", pensavo.
In realtà, mi auguravo che le forze dell'ordine intervenissero prima che fosse troppo tardi.
Il russare del carceriere pervadeva la grotta. Pian, piano mi allontanai inghiottito nel buio più profondo.
Avevo con me solo qualche misero 'cerino', e una corda, presa in "prestito".
Senza cibo, e con il freddo gelido non avevo idea di niente. E il niente era l'unica cosa a cui volevo pensare. Che fosse la disperazione, o l'incoscienza, o il coraggio a muovere un passo dopo l'altro, non saprei dire, in ogni caso anche se in maniera molto, molto limitata con una lentezza infinitamente pesante, camminavo lasciandomi alle spalle l'oppressione della situazione drammatica a cui ero stato costretto a vivere.
E poi udii la voce del mio carceriere che accortosi della mia fuga, mi gridava:
"Bravo! Così ci hai tolto il problema di farti sparire! La grotta non perdona. Vedrai! Vedraiiiii!!" l'eco rimbombava ma io mi tappai le orecchie.
Aveva ragione! Avrei trovato solo la tomba.
Rividi il prigioniero e provai una stretta al cuore per lui, chissà...
Sopravvivere. Dovevo sopravvivere.
Il terreno in certi punti era estremamente scivoloso, in altri guglie appuntite mi ferivano. Inciampavo spesso, e in certi punti, l'odore del guano dei pipistrelli era insopportabile.
Sentivo i miei passi come se sopra ai piedi ci fossero dei macigni. Nel buio, al freddo, con una terribile stanchezza, addosso, camminavo e camminavo seguendo il rumore di un torrente sotterraneo.
"Almeno non morirò di sete" pensai con ironia, "dovrà pur sbucare da qualche parte! A meno che non si dirami in qualcosa di sotterraneo. Spero proprio di no!".
Lo scorrere dell'acqua mi rassicurava, anche se non potevo avere il senso dell'orientamento, ne del tempo, quel suono mi incoraggiava e seguitavo a camminare.
In effetti, la grotta per mia fortuna non era così lunga. Ciò che da principio mi era apparso un minuscolo punto di luce, si trasformò inprovvisamente in una luce accecante. Mi feci scudo con la mano e caddi in ginocchio, piangendo e ringraziando Dio.
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